Un tempo erano associati ai galeotti o alle gang del Bronx, ma ultimamente i tatuaggi sul viso sono diventati qualcosa di molto comune; un articolo dell’Independent, che ha provato ad analizzare il fenomeno, li ha definiti addirittura mainstream, ovvero quasi convenzionali, privati quindi di quell’accezione di trasgressione e anticonformismo che li distingueva un tempo. Anche giovani star come Justin Bieber, o Young Signorino, vi hanno fatto ricorso, anche se l'”antesignano” del face tattoo è stato indiscutibilmente Mike Tyson, uno che di ribellione se ne intende.

Il pregiudizio legato ai tatuaggi sul viso, ovviamente, dipendeva soprattutto da una questione estetica, trattandosi dell’unica parte del corpo che resta visibile anche quando si è ben vestiti, per questo è piuttosto interessante cercare di capire come le cose siano cambiate, come del resto è accaduto a partire dagli anni ’90 con i tatuaggi in generale.

Se per i rapper, infatti, il tattoo sul viso è ormai diventato un modo per affermare il proprio spazio nel genere musicale di appartenenza, per identificarsi nel personaggio che si interpreta, accettando al contempo le conseguenze psicologiche del gesto, come spiega un articolo di Noisey, quali sono i motivi che spingono i “comuni mortali” a tatuarsi segni indelebili su fronte, guance e mento?

Ovviamente, esiste una spiegazione psicologica anche sul punto in cui si sceglie di farsi tatuare, quindi chi decide di ricorrere al tatuaggio sul viso ha le sue ragioni e, differentemente da quanto si possa pensare, nella maggioranza dei casi non se ne pente, come afferma un articolo di tatuaggisulweb.it.

Generalmente i soggetti scelti per questo particolare tatuaggio servono a esprimere un concetto forte o una convinzione radicata nella persona.

Chi si tatua la faccia lo fa come segno di ribellione, come atto anticonformista nei confronti della società e con spirito di sfida nei confronti di chi si limita ad assecondare il pensiero comune senza andare oltre ai pregiudizi e alle apparenze.

Il fenomeno, dicevamo, del tatuaggio in generale, come attesta pure la studiosa Anna Felicity Friedman, inizia negli anni ’90, quando atleti e celebrità in generale hanno iniziato a sfoggiare tattoo, e da allora ogni decennio ha avuto punti e soggetti “preferiti”: molte giovani donne di oggi, ad esempio, potrebbero avere un tribale tatuato sul polpaccio e sul fondo della schiena, dato che questi erano le parti del corpo e il disegno che andavano più in voga agli inizi dei Duemila. In ogni caso, con gli anni è stato definitivamente sdoganato il concetto di tatuaggio= criminale, per rappresentare semplicemente il desiderio delle persone di esprimere qualcosa in maniera diversa, con un segno indelebile sulla pelle. È, insomma, un’altra forma di comunicazione, peraltro sorprendente perché denota una certa voglia di stabilità (tatuarsi significa appunto portare qualcosa su di sé per sempre) in un periodo storico caratterizzato in ogni ambito dalla precarietà, lavorativa, familiare, sociale.

Che piacciano o meno, il tatuaggio oggi non è più un segno di anticonformismo, anzi.

I rapper e lo status symbol

Se vuoi essere trasgressivo – e molti rapper vogliono creare un personaggio trasgressivo – l’ultima frontiera è tatuarsi il volto – ha spiegato Friedman – Perché il tatuaggio sul volto dà loro un fascino ribelle o criminale. E fa riferimento a un animo artistico o a uno spirito libero.

Come detto, i rapper dichiarano in qualche modo l’appartenenza a un genere non solo musicale, ma anche di vita precisamente e nettamente definito, quello di chi si è formato nei sobborghi e nelle periferie cittadine. Post Malone, ad esempio, ha Stay Away scritto sulla fronte e le parole Always e Tired,  tattoo fatti, come lui stesso ha rivelato, per far arrabbiare la madre; 21 Savage ha un coltello sulla fronte, Lil Xan le parole xanarchy e candy, e il numero 1996.

Senza però limitarci al mondo del rap, è interessante indagare la diffusione del tattoo facciale in generale, anche fuori dagli ambiti artistici e musicali.

Il tatuaggio come forma di comunicazione e di approvazione sociale

Un tempo, nemmeno troppo lontano, avere un tatuaggio poteva essere un motivo di non assunzione al lavoro, quindi è naturale chiedersi come si sia passati da questa condizione a quella in cui non ci sono più problemi a tatuarsi il viso.

I tatuaggi hanno iniziato a perdere il loro stato di “rinnegati” anche grazie alla nascita di reality show televisivi dedicati proprio all’arte del tattoo, che hanno definitivamente permesso di sdognare pregiudizi e perplessità sulla loro presenza sul corpo, e da qui il movimento, lento ma inarrestabile, verso l’alto, oltre la scollatura.

Il preconcetto, del resto, è proprio della nostra civiltà, dato che nelle popolazioni primitive, tatuarsi non ha nulla di trasgressivo, ma è anzi un segno di integrazione sociale. I maori della Nuova Zelanda, ad esempio, usavano tatuarsi il viso in segno di distinzione di rango, con un disegno, chiamato “moko”, che rendeva l’individuo unico e inconfondibile, come le impronte digitali.
La molla più potente che spinge a desiderare un tatuaggio è probabilmente il desiderio di distinguersi dalla massa, riaffermando, anche visivamente, la propria diversità, esprimendo qualcosa che tendiamo a non manifestare in altri modi, anche se tale espressione di personalità è estremamente diversa in base all’età: per gli adolescenti, ad esempio, il tatuaggio può contribuire ad affermare un carattere ancora in via di costruzione, mentre un adulto farà una scelta che rispecchia una personalità ormai ben strutturata e che risponde al desiderio di fermare il tempo a un momento della vita in cui è ancora possibile “trasgredire”.
Va detto che anche lo spirito con cui si sceglie di tatuarsi è diverso: una volta lo faceva chi voleva mostrare grande sicurezza in sé disinteresse per il giudizio altrui, mentre oggi con il tattoo si cerca di esorcizzare la paura, e persino di guadagnare l’accettazione sociale da parte del gruppo.
In ogni caso, pare chiaro che con il tattoo si cerchi di comunicare qualcosa, in una forma diversa da quelle canoniche e il tatuaggio sul viso è il segno più evidente di un carattere strong che punta ad abbattere la stigmatizzazione affermando a chiare lettere un diritto, quello di essere se stessi, senza necessariamente essere considerati “cattive persone”.

Una voce fuori dal coro

Anche fra i tattoo artist, comunque, c’è chi non ama particolarmente i tatuaggi su mani e viso; Joel Jose Molina, della Chicago Tattoo & Piercing Co., in attività  dal 1973, spiega all’Independent che lui e i dipendenti hanno un nome per i tatuaggi su mani, collo e viso. “Li chiamiamo tappi di lavoro”.

Durante i suoi 12 anni di carriera, ha detto, Molina, ha fatto solo tre tatuaggi sul viso. “Due erano tatuatori, e uno era su questo gangster della Florida che vendeva un po’ di erba e voleva farsi tatuare la palpebra”. In generale, comunque, non ama fare lavori di questo genere, e lui stesso non si farebbe mai tatuare il viso.

Quelli che si fanno i tatuaggi sono generalmente giovani e fanno lavori non tradizionali. Per quello che vale, io non ne farò mai su di me. So che se lascio mio figlio a scuola e ho i tatuaggi sul viso, l’insegnante mi giudicherà.

A riprova del fatto che, forse, lo stigma sociale non si è ancora del tutto esaurito. Molina ha anche raccontato un aneddoto per sostenere che il tatuaggio in faccia non dovrebbe mai essere fatto, se si tratta del primo che si sceglie di avere.

Quando una ragazza di 18 anni mi ha recentemente chiesto un tatuaggio sull’orecchio, ha visto che non aveva altri tatuaggi visibili e le ho detto ‘Devi guadagnartelo. È un rito di passaggio.

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