
Forte terremoto in Calabria
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Un'inchiesta de Il Fatto Quotidiano evidenza i limiti del Progetto C.A.S.E. aquilano: edifici già da ristrutturare e limitazione delle libertà fondamentali dei cittadini.
Abbiamo avuto molte occasioni di parlare del terremoto de L’Aquila negli ultimi giorni, complice anche la polemica generata dalla scandalo connesso al Progetto C.A.S.E.
Il Progetto C.A.S.E. è il sistema abitativo promosso dal Governo di Silvio Berlusconi per la ricostruzione de L’Aquila, costato 815 milioni di euro. Anziché ristrutturare i palazzi recuperabili, le istituzioni hanno deciso di costruire 19 new town, ovvero dei complessi abitativi costruiti ex novo in cui alloggiare più di 13.000 abitanti.
Di primo acchito è parso a tutti un progetto interessante che, in pochi mesi, ha garantito un tetto sicuro a molti cittadini coinvolti dal terremoto. A due anni di distanza dalla costruzione di questi complessi, però, la realtà è tutt’altra: non solo queste abitazioni necessitano già di interventi di riparazione urgenti, ma a quanto pare gli inquilini sono sottoposti a vere e proprie regole dittatoriali.
Non si sta parlando delle case concesse in comodato d’uso, quindi non modificabili dagli abitanti nemmeno per gli interventi più basilari: su questa clausola, forse a malincuore, gli aquilani non sollevano nessuna protesta. Sono invece le limitazioni alle libertà personali a preoccupare fortemente la popolazione.
Gli inquilini del Progetto C.A.S.E., infatti, subiscono il divieto di allontanamento dai propri appartamenti, come se si abitasse in un vero e proprio ghetto. A quanto emerge dall’inchiesta de Il Fatto, bastano 8 giorni d’assenza per perdere i diritti abitativi, così come la mancanza di un membro della famiglia per più di tre mesi comporta il trasferimento coatto in un’abitazione più piccola. Questo significa, ad esempio, l’impossibilità dei giovani di allontanarsi dal tetto famigliare per brevi motivi di studio, perché ciò comporterebbe la perdita dell’appartamento per tutta la famiglia.
Le new town, poi, sono distanti parecchi chilometri da servizi essenziali al cittadino, così come ai luoghi d’aggregazione. A farne le spese sarebbero soprattutto gli anziani che, di fatto, non hanno più alternative se non quella di passare le 24 ore della giornata chiusi in casa. A questo si aggiunga, infine, come i sistemi antisismici siano stati implementati senza regolare collaudo e senza le necessarie protezioni antipolvere, così come previsto dalle normative internazionali.
Le interviste, raccolte fra la popolazione aquilana, dimostrano come questo dissenso sia tutt’altro che un pretesto politico per attaccare la maggioranza. Si tratta di un vero e proprio grido d’allarme per una modalità di vita ormai divenuta insostenibile. È lecito che, pur avendo un tetto sopra la testa, più di 13.000 persone siano soggette a così tante limitazioni alla libertà fondamentali dell’uomo? Quando viene impedito anche il diritto di circolare liberamente, allontanarsi per una breve vacanza, raggiungere una zona limitrofa per un po’ di ristoro, ci si deve chiedere se le istituzioni non abbiano fallito il loro intento di riportare L’Aquila alla normalità.
Visualizza questo contenuto suArticolo originale pubblicato il 6 aprile 2011
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