
Venezia 76: Waiting for the Barbarians, la recensione del film con Johnny Depp
Il magistrato controlla un avamposto dell'Impero, convivendo con le popolazioni locali. Fino a quando arriva un colonnello che conosce il solo linguaggio della violenza.
Il magistrato controlla un avamposto dell'Impero, convivendo con le popolazioni locali. Fino a quando arriva un colonnello che conosce il solo linguaggio della violenza.
Come già Martin Eden di Pietro Marcello e The Painted Bird di Václav Marhoul, anche Waiting for the Barbarians è il riadattamento cinematografico di un romanzo. In questo caso, firmato Ciro Guerra, a partire dal libro Aspettando i barbari, pubblicato nel 1980 da John Maxwell Coetzee. Davanti alla macchina da presa Johnny Depp, protagonista assoluto di questo scampolo finale della Mostra del Cinema di Venezia 2019.
L’attore si è presentato al Lido di Venezia in splendida forma, anticipato nei giorni scorsi dalla figlia Lily-Rose, protagonista in The King, film sulla vita del Re Enrico V. Sorridente, l’attore ha dispensato autografi, dimostrandosi estremamente disponibile nel farsi ritrarre nei selfie dei fan. Il gran finale, sul red carpet del Palazzo del Cinema, prima della proiezione nella Sala Grande.
Mark Rylance è un funzionario amministrativo prossimo alla pensione, chiamato da tutti “il magistrato”. Presiede un avamposto dell’Impero. Dall’altra parte ci sono i “barbari”. Il rapporto è di rispetto reciproco e di armonia. La situazione, tuttavia, cambia radicalmente quando il potere centrale invia in quella stessa ultima propaggine dell’Impero lo spietato colonnello Joll, un terribile Johnny Depp, incaricato di mettere in ginocchio le popolazioni locali, annientandole, rendendole innocue.
A quel punto anche il ruolo del “magistrato” cambia. Nella placida attesa della pensione, per ritornare a casa. Ma, allo stesso tempo, felice in quell’angolo di mondo che aveva imparato a chiamare, a sua volta, “casa”. Quindi costretto alla convivenza forzata con un giovane tanto ambizioso quanto spietato. Disinteressato a capire, sensibile al solo richiamo della violenza: unico linguaggio che conosce.
Waiting for the Barbarians può contare su un cast di eccezione: i già citati Johnny Depp e Mark Rylance, oltre a Robert Pattinson (già a Venezia con The King), nel ruolo dell’ufficiale Mandel. Personaggi in antitesi. Da un lato, il “magistrato”: pacato, accorto, pieno di dignità. Dall’altra, Johnny Depp e Robert Pattinson, interpreti monolitici, granitici, portatori di una spietatezza che non conosce sfumature. Ma poi i ruoli si confondono, riuscendo a superare il dualismo antitetico che, fortunatamente, non è l’unica chiave di lettura della pellicola.
A donare umanità al film è il solo Mark Rylance. Già Premio Oscar per Il ponte delle spie, è l’attore a regalare spessore alla pellicola. Una sua complessità che riesca a superare la suddivisone manichea tra “buoni” e “cattivi”. Mark Rylence interpreta il ruolo del magistrato illuminato, che lotta contro i mulini a vento e che crede nelle sue parole, nei suoi ideali. Perché questi non sono altro che lo specchio della sua vita: tradirli, significherebbe tradire tutto ciò che ha vissuto. Con gli anni trascorsi a contatto con quelle popolazioni che Joll, appena arrivato, crede di conoscere e quindi di superare, stando dalla parte della ragione.
Eppure anche il “magistrato” è il sistema che paradossalmente tenta di combattere. Tenta di combatterlo da dentro, quando in realtà lo impersona, ne è uno dei simboli più evidenti. Forse il più evidente. Per anni, le popolazioni barbare che vivevano nei dintorni di quell’avamposto dell’Impero vedevano lo stesso Impero in quello stesso magistrato. Ma lui non lo capiva.
Il film è una esemplificazione in chiave breve della Storia. La paura dei barbari che provoca imbarbarimento. Chi sono i veri “barbari” di cui siamo in attesa? Loro o gli altri?
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