Sindrome di Down, storie di ragazzi che hanno raggiunto traguardi

Altri esempi di ragazzi affetti dalla sindrome di Down laureati spuntano sul Web: famiglia e amici aiutano a limitare il gap.

Giusi Spagnolo non è la prima ragazza affetta da sindrome di Down a laurearsi in Italia. Navigando sul Web abbiamo trovato due esempi di ragazzi con la stessa malattia che in passato hanno raggiunto il traguardo accademico.

E questo non ci dovrebbe stupire, anzi ci invita a riflettere su una questione: quanti ragazzi riescono ad andare oltre il loro limite imposto dalla genetica e a raggiungere gli stessi traguardi dei loro coetanei “normodotati”?

Questo non vuol dire sminuire il ruolo di Giusi, anche perché oggi è il suo giorno, quello in cui si è avverato un sogno, ma pone i riflettori su come i ragazzi affetti da sindrome di Down, se giustamente stimolati dalla famiglia e dalle regolari relazioni sociali con i loro coetanei, riescono ad avere una vita come quella degli altri. Purtroppo, ancora c’è un pregiudizio che li circonda, dovuto all’aspetto differente.

Su Internet abbiamo trovato la storia di Francesca, che si è laureata nel 2007 presso l’Università del Salento in Beni Culturali. Francesca si occupa di molte attività culturali e legate al volontariato, inoltre è una ragazza acuta e spumeggiante. Sul Web si parla di un suo lavoro, un cortometraggio dal titolo “Rappresentazioni (L’Università come laboratorio teatrale)”, un’opera svolta nell’ateneo leccese in cui lei racconta come si può dare un senso alla propria vita nella quotidianità.

Un altro esempio di ragazzo Down decorato d’alloro è quello di Francesco, che nel 2006 prese la laurea in Economia Aziendale, alla Cattolica di Cremona, grazie a una tecnica statunitense, che consente attraverso l’attività sportiva, di ossigenare il cervello e quindi recuperare delle capacità intellettuali. E come Francesco e Francesca ci saranno altri, magari in alcune piccole università da nord a sud di cui non abbiamo percezione. E forse è un bene, perché il non saperlo potrebbe essere sintomo di una percezione errata che si aveva un tempo sui ragazzi Down, che venivano tenuti in famiglia con vergogna e venivano chiamati comunemente, a torto, “mongoloidi”.

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