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Anni fa Bono Vox, il cantante degli U2, decise di fare il giro del mondo per parlare con i più influenti Capi di Stato per sensibilizzarli sulla necessità di azzerare il debito pubblico dei Paesi più poveri. Iniziò così la sua campagna umanitaria, accompagnata dall’istituzione di una fondazione di beneficenza chiamata ONE Foundation.
Lo slogan era “The campaign to make poverty history“, la campagna per rendere la povertà storia passata, e subito l’iniziativa ha sollevato i consensi dell’opinione pubblica che, probabilmente stupita dal nobile gesto, ha dimenticato di porsi una domanda fondamentale: di chi era la povertà di cui stava parlando Bono?
Evidentemente non dei popoli di cui si è fatto portavoce, di quelli il cui 70% delle persone vive sotto la soglia di povertà, poiché una recente inchiesta condotta dal New York Post ha messo nero su bianco quelle che sono le effettive destinazioni dei proventi della fondazione. La ricerca ha mostrato al mondo come di questi, in realtà, solo l’1% vada effettivamente in beneficenza. Secondo l’importante giornale americano, infatti, la ONE Foundation nel 2008 ha ricevuto ben 14.993.873 dollari in donazioni dai filantropi, dei quali solo 184.732 sono stati distribuiti in beneficenza a tre associazioni di carità.
Inutile sottolineare come poco meno di duecentomila dollari siano ben pochi per risolvere il problema della povertà, tanto più se divisi per tre, e come la cifra risulti a dir poco ridicola. Questo specie se si contano i prezzi dei biglietti dei concerti dei soli U2 (che arrivano fino a 250 euro), che potrebbero facilmente racimolare una simile somma nell’arco di massimo due concerti e con molta meno pubblicità e presenza mediatica di Bono, che perderebbe così l’occasione di fare del bene senza farsi vedere in giro qua e là per il pianeta a stringere la mano a Capi di Stato.
Del resto, dei fondi raccolti dalla fondazione, più di 8 milioni di dollari sono stati spesi nei salari dei dirigenti e dei dipendenti. Come detto, nulla di inventato, poiché le cifre pubblicate dal New York Post sono state prese direttamente dalla dichiarazione dei redditi del 2008 dell’organizzazione.
Questa non è neppure la prima volta che si mettono in discussione le effettive finalità umanitarie delle iniziative intraprese dal cantante. Tempo fa, infatti, Bono fu al centro delle polemiche quando Edum, il marchio di moda del frontman degli U2, ha spostato parte della sua base produttiva dall’Africa alla Cina. La cosa di per sé non è certo criticabile, se non fosse che la casa di moda era stata creata per dare lavoro e sostentamento alle persone più povere del continente africano.
Nonostante la ONE Foundation abbia cercato di giustificarsi, senza però riuscirci, vale la pena di ricordare un motto lanciato dal The Telegraph: “Make Bono History“.
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