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Dal Bronx alle più grandi passerelle del mondo, ecco la storia di Calvin Klein e delle sue creazioni minimali e cosmopolite.
Clavin Klein, classe 1942, è uno di quei giovani che, all’età di 26 anni, nel 1968, decide di lasciare la comunità ebraica del Bronx per aprire, assieme all’amico d’infanzia Barry Schwartz, un negozio di cappotti. Il primo successo del neonato negozio, a quanto si narra, è legato ad una casualità: un buyer di un department store americano, scendendo dall’ascensore al piano sbagliato, rimase colpito dalle creazioni del giovane, tanto da farne un ordine di quasi cinquantamila dollari.
Per gli Stati Uniti d’America, gli Anni ’60 segnarono un punto di svolta storico: dalla salita di John Kennedy alla Casa Bianca, fino ad arrivare al nuovo assetto consumistico del mercato, il territorio delle Antiche Colonie Riunite fu scosso dalla nascita e dal rimbombo della Società di Massa. Questo clima, condito dai primi principi di “tendenza” e di “moda” (intesi come status symbol), fu accarezzato, con una mano non troppo leggera, dalla Pop Art che si impose con prepotenza e dal potere colossale della pubblicità. Cambiò il modo di vivere e di intendere l’ambiente, il corpo e la cultura stessa fu lambita da stravolgimenti epici. La ricchezza e la povertà si appiattirono, apparentemente, fino a costruire un sistema di equilibrio relativo, che sarebbe crollato con la prima Crisi Economica che arrivò nel tempo. Bronx e Manhattan rimasero, tuttavia, così distanti: per questo, nei quartieri più umili e malfamati, vi furono le prime esplosioni di rivalsa sociale.
Calvin Klein diventò uno dei nomi più importanti del fashion system: dalle linee femminili, fino ad arrivare all’underwear, passando per i profumi e per l’eleganza maschile. Ciò che, più di tutto, fu in grado di lasciare un traccia chiara dello stilista fu l’irriverenza e lo scandalo legato alle campagne pubblicitarie, spesso raffiguranti modelli e modelle – di altissimo calibro internazionale – in pose sensuali e poco vestiti.
Il marchio crebbe in maniera esponenziale, fino a diventare simbolo di una cultura, quella denim che, a poco a poco, si sviluppò in America. I pantaloni furono sostituiti dall’abbigliamento street e, allo stesso tempo, Klein seppe costruire il proprio punto di vista che, negli Anni ’80, si combatteva il primato nel settore con griffe del calibro di Gloria Vanderbilt, Chipie, Stirling Cooper, Levi’s, Wrangler e Lee. Gli anni corsero e, collezione dopo collezione, il dna minimale e raffinato del brand fu plasmato per dare vita a creazioni, non solo d’abbigliamento, uniche nel proprio genere.
Il 2003, tuttavia, segnò un nuovo punto di inizio per la Clavin Klein Inc. che fu venduta alla compagnia Phillips-Van Heusen; dal 2004, poi, la direzione creativa della linea femminile fu affidata a Francisco Costa – pupillo di Oscar de la Renta e Tom Ford – e quella maschile ad Italo Zucchelli. Kevin Cardigan, infine, si occupò dello sportswear, del retail e delle licenze.
Calvin Klein riuscì, senza ombra di dubbio, a regalare alla femminilità americana, caratterizzata dall’essenza business, un’identità forte e capace di rappresentare e di accompagnarle, nonché di assecondarle nel corso della propria giornata e dei momenti di vita privata. Francisco Costa, d’altra parte, è stato in grado di incarnare a perfezione il pensiero del fondatore del Brand, richiamandone le nuance cromatiche e le silhouette scultoree, costruendo opere stilistiche caratterizzate dalla preziosità dei tessuti e della manifattura.
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