
Camilleri: l'inedito Riccardino, un anno dopo la morte
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A un anno di distanza dalla tragedia che ha colpito Haiti, il terremoto che è costato la vita a 230.000 persone con 300.000 feriti, ancora oggi un milione di persone vive in condizioni di totale precarietà costretti nelle tendopoli allestite nella capitale Port-au-Prince e nel sud dell’isola caraibica. Oltre al colera che si è abbattuto sui superstiti, causando ben 3.500 vittime, un altro flagello sta tormentando le vite della popolazione. Amnesty International ha lanciato un allarme internazionale per denunciare i continui atti di violenza sessuale e stupro a cui sono sottoposte quotidianamente le donne.
Pochi giorni fa l’organizzazione umanitaria ha pubblicato un rapporto sulla vicenda, sottolineando la gravità della situazione.
Le stesse vittime hanno raccontato nel dettaglio le aberranti violenze a cui sono costrette, stupri perpetrati da intere bande di uomini armati che si aggirerebbero nelle tendopoli dopo il tramonto. Una pratica, quella dello stupro, già tristemente in atto ancora prima del terremoto, favorita dalle attuali condizioni. Agevolata anche dalla scarsa presenza di forze dell’ordine, sistema inadeguato e povero di personale ancora prima del gennaio 2010.
Secondo Gerardo Ducos, ricercatore di Amnesty International a Haiti:
Il già fragile sistema che garantiva il rispetto della legge e dell’ordine pubblico è completamente collassato dopo il terremoto. Non c’è alcuna sicurezza per le donne e le ragazze nei campi: si sentono abbandonate e in balia degli attacchi. Le bande armate fanno ciò che vogliono, sapendo che sarà ben difficile fare i conti con la giustizia.
Ad accogliere le denunce delle donne sono la stessa Amnesty e alcuni sostegno alle donne presenti sull’isola. Vivere nelle tendopoli genera paura e insicurezza, in particolare nelle vittime di abuso costrette a una vita di segregazione e terrore. Molte di loro sono sole, senza famiglia o marito, morti nel terremoto.
Le testimonianze evidenziano la brutalità e la mancanza di compassione delle bande di aguzzini, nulla li ferma, né la giovane età delle vittime né la presenza dei figli durante lo stupro. Le parole di Suzie, madre di due bimbi, gelano il sangue. Vive in una tenda con l’amica, entrambe bendate e aggredite davanti agli occhi dei piccoli:
Dopo che hanno finito, non riuscivo a fare niente, non avevo la forza per nessuna reazione. Sarei dovuta andare all’ospedale, ma io non ci sono andata perché non avevo soldi. Non so neanche dove sia un luogo che si occupa di chi ha subito violenza.
Una situazione straziante, dove non vi è la presenza di nessun tipo di tutela per la salute delle donne, e le poche organizzazioni che lottano per questo si trovano a scavare nel fango e nelle macerie della disperazione.
Articolo originale pubblicato il 8 gennaio 2011
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